L’eredità di un pezzo di Salento – ‘Janni: la commedia continua’

di Anastasia Maniglio

Un campanile meraviglioso a scandire il passaggio del tempo, quel tempo che, in una canzone dei Su’d’est, consiglia: “Quiddu ca lassi osci, lu crai lu poi chiangire”.  Il palazzo Granafei, con le sue luci, le sue finestre e le sue pareti inconfondibili. Il venticello del Salento, l’anemo attraverso cui si percepiva la presenza del nostro amico. Un tavolo, delle sedie di legno, una bottiglia di vino. E tutti noi intorno, tanti, a cantare e ricordare le stesse vicissitudini comiche che Gianni portava sul palco e fuori – ché per lui non faceva differenza, come per ogni artista onesto.

Una serata in più con lui, insomma; un bis che ci mancava da un pezzo.

A soli due giorni da quello che sarebbe stato il suo cinquantanovesimo compleanno, ancora qui, a Sternatia, ancora noi e tutti gli altri, ad abbracciare l’intellettuale, il poeta, il cantante, il regista, l’attore… Gianni De Santis, figlio di Cesarino e padre di un patrimonio preziosissimo per la nostra terra.

Il fratello Rocco e Maurizio Sciurti alla chitarra, Pino Basile alle percussioni, Tony Loderini e Mattia Manco alla fisarmonica, Doriano Longo al violino, Giulia Latino con la sua splendida voce, ci hanno regalato canzoni come ‘Mu fani’, ‘Echi’, ‘Fumusie’, ‘Loja ja sena’, ‘Itela’, in dialetto salentino e in grico.

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Il presidente dell’associazione ‘Robin Hood’, Antonio Latino, ha aperto la serata, versandosi il primo bicchiere di vino e manifestando la difficoltà nell’esprimere a parole quello che Gianni rappresentava per tutti: “Come se chiedessi a un ultrà del Napoli: ‘Parlami di Maradona!’. Cosa vuoi che ti dica?”.


14045258_1759000601024730_1070262360_o.jpgMassimo Manera
, sindaco del nostro paese, ha raccontato del rapporto fraterno che aveva con Gianni, dei proficui venerdì sera al ‘Mocambo’, in cui si progettavano eventi quali ‘La notte della Taranta’ e la reintroduzione dei canti della Passione nelle chiese.

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“Le sue traduzioni e interpretazioni sono quanto di più bello un traduttore possa fare”, ha detto l’editore e ricercatore Gigi Chiriatti, “Ci sono degli uomini che segnano profondamente le epoche in cui vivono, con la loro etica e la loro esuberanza”. Lo stesso ha ricordato che molti giovani artisti facevano riferimento a lui come depositario della lingua grica e ha raccomandato: “Abbiamo il dovere di onorare questa presenza”.14045258_1759000601024730_1070262360_o.jpg

Il professore Salvatore Colazzo lo ha definito un artista “poliedrico con un’inclinazione singolare al teatro (…), una capacità di dire sì alla vita fino all’ultimo istante”.

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Straordinarie le performances di Maria Renna, che ha letto alcune pagine del libro di Gianni ‘Maravà – piedi di gomma’, e Giglio Pellegrino, con le rime sugli animali che strisciano e la creazione della donna tratte da ‘La Genesi’ dell’autore sternatese.14045148_1759000771024713_1785683971_o.jpg

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Le lacrime ci hanno sorpreso copiose, appena Marco Chiriacò ha portato in scena il Maestro, introducendo una gruccia con appesa una giacca, che ha fatto accomodare al tavolo. Sottoforma di un dialogo-monologo, ci ha reso partecipi di gag realmente accadute sul palco delle loro commedie, quali ‘lu fattu de lu Polla’, ‘gli effetti speciali de lu Mariu’, la volta in cui i microfoni erano rotti…

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Ecco come Marco ricorda il cantautore grico:

Quando è stata la prima volta che hai recitato con Gianni e come si è evoluto il vostro rapporto professionale e non?
Conobbi Gianni in un pomeriggio di circa trentuno anni fa. Lo raccontai così in una lettera che gli scrissi per il suo compleanno:

“…in una giornata focosa, avevo pochi anni di giovinezza infantile.
E il rumore di un calcetto a stecche con palla di osso, colpì in pieno la mia attenzione.
Era il Bar “della Rita” oggi Litari.
Ricordo che oltre a Teodoro Foggetti in porta, ci stava un uomo dal fisico basso e possente, dai polpacci disegnati, dalla barbetta incolta.
Non ricordo chi fossero gli altri.
E’ passata troppa vita da allora.
Non lo conoscevo ma il solo avvicinarmi mi ammaliò.
Mi fece stare li a guardare.
Ad osservare quell’uomo, con il quale oggi condivido un’amicizia che ha solo una trentina d’anni.
E così vennero le prime commedie.
Le prime piazze.
Le prime notti insieme, in giro qua e là fumando Marlboro rosse.
I primi capelli bianchi, profumati di quello che più volte abbiamo definito insieme come il nostro “talco di vecchiaia”.
Vennero gli abbracci prima di andare in scena.
Vennero le lacrime.
Pure.
Venne il caldo di mezzogiorno a piazza Castello.
Vennero i nostri scenari.
Gli applausi.
I silenzi…”

La prima commedia fu ‘Lu cane Pija’nculu’, poi molti spettacoli, tra cui ‘Tornandu a casa’, ‘L’invitu’, ‘Maravà’, ‘Li piedi de gomma’, ‘Afinnome… sta vota me lassu’, ‘Apètana… forzi sù mmortu’, ‘Li pochi sordi mei, li molti loru’, ‘Le parole de lu miu bene’, ‘La Genesi’ e tanti altri, di cui non ricordo nemmeno il titolo. In tutte queste rappresentazioni, tranne per le prime dove io ero comunque un ragazzetto, mi dava ‘carta bianca’: mi mandava il copione a Roma e mi diceva di fare da solo, di crearmi e costruirmi il personaggio come volevo. Si fidava ciecamente. Empatia artistica? Non lo so, so soltanto che io e lui provavamo al massimo una settimana prima di andare in scena. Pazzi? Pazzi per il teatro, nonché sfrontati e presuntuosi… Ma poi fortunatamente le piazze ci davano ragione… O almeno credo!

Qual è la cosa che devi a lui più di tutte e viceversa?
Nella carriera artistica di ognuno di noi, anche di chi crede di esserne esente, esiste un circuito. Delle orbite dove il nostro pianeta artistico, con tutte le sue espressività, si muove. Io quindi mi sono trovato così per caso a gravitare su un tragitto fatto di notti tra musica, poesia, vino e amicizia. Ma soprattutto fatte di gente che ascolta. Gente che rispetta il tuo ruolo teatrante. Ecco la cosa che maggiormente devo al maestro. Sentirsi ascoltato dall’anima, anche quando il tuo ruolo è solo quello cosiddetto di ‘spalla’. Notti infinite dove io con la chitarra e noi insieme con il teatro in mano, allietavamo le serate di tanti ‘ascoltatori’.

Quale scena ti viene subito in mente, se dovessi pensare di Interpretare proprio Gianni, in un prossimo spettacolo?
Non saprei… Mi piacerebbe comunque sottolineare in scena la sua poliedricità, non solo artistica ma anche caratteriale. Vorrei essere felice, triste, incazzato, ma soprattutto sfrontato e senza paura delle proprie scelte. Questo era lui.

Come possiamo contribuire a tenere in vita ciò che rimane della lingua grica, noi salentini che viviamo lontano?
Ti rispondo raccontandoti che nei miei trascorsi ho incontrato un ragazzo che parlava straordinariamente bene il Griko. Gli chiesi: “Dove e chi te lo ha insegnato?”. Rispose: “Da solo!”. Leggeva i libri di poesie di Cesare De Santis e altri autori, aiutandosi con le traduzioni e andando quasi ogni giorno da alcune persone anziane. Anche e soprattutto in questo, volere è potere. Io sono ad un sufficiente livello, ma credimi che ci sto lavorando tanto con mia madre, con Giglio, Rocco e altri. Bisogna studiare e parlare. Anche questo è ‘tenere in vita’. Per il fatto di vivere lontano, poi, sicuramente non facilita le cose, ma non esiste altra strada: studiare e avere contatti con persone che lo parlano, magari tramite internet…

Fino a qualche anno fa, non pensavo di potermi avvicinare alla storia della mia terra, che davo per scontata, essendone parte, ma non sapendone niente, in realtà. La passione di Gianni, l’arte con cui ha fatto capire alla mia generazione da dove veniamo, ha travolto un po’ anche me, nonostante sia sempre stata presa dallo studio di culture vicine ma altre. E mi son ritrovata ad approfondire ciò che prima snobbavo, a portarmi dietro il CD “Jeu suntu lu tiempu” ovunque vada, a riascoltare quegli strumenti e quegli idiomi, sentendomi a casa in qualsiasi angolo della Terra. Un po’ come quando ti commuovi alla semplice melodia dell’Inno di Mameli.

Grazie, Gianni, per le tue spaghettate aglio olio e peperoncino, per le cene improvvisate, per quella Pasquetta in cui ti ho conosciuto, per gli amici che mi hai presentato, per gli insegnamenti, che proveremo a trasmettere anche noi. È una promessa!

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Un pensiero riguardo “L’eredità di un pezzo di Salento – ‘Janni: la commedia continua’

  1. Una persona unica, cioè Gianni, merita di essere ricordata. Non per ciò che recitava, ma per come lo faceva e per la persona speciale che era. Bell’articolo, grazie anche a te per averlo scritto!

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